Dall'evoluzionismo all 'evoluzionismo!
Troppe botte al povero Darwin ovvero quando l'uomo se la prende con sé stesso
di Carmelo R. Viola
La scienza della vita nasce dall'osservazione e descrizione dell'esistente. Il panta-rei biologico, sotto gli occhi di tutti per poco che si aguzzi la vista, può benissimo configurarsi come un evolversi dal semplice al complesso, dal vegetale-animale all'umano, dall'istintivo-inconscio al razionale-responsabile, dalla fame al pensiero astratto, dall'egocentrismo fagico-predatorio dell'antropozoo all'empatia etico-affettiva dell'uomo "compiuto" Questo movimento dal meno al più, dal basso verso l'alto per elaborazione dell'esperienza (vita vissuta) e quindi di attitudini e di costumi al livello del Dna e di "coscienza immediata", è evoluzione biologica e biogenetica, è un nascere della vita dalla Vita, un emergere (donde esistenza, da ex-sistere) della vita attuale dalla Vita potenziale: si può ben parlare di evoluzionismo anche senza conoscere Darwin.
La metamorfosi, che dal neonato, tutto impegnato a succhiare il latte materno per l'immediato esserci (essere al mondo) porta via via all'uomo tutto impegnato a pensare e a creare con l'arte e con il cervello, è evoluzione. Ed è evoluzionismo la teoria, che se ne deduce e la letteratura che la descrive. Evoluzione è un concetto prettamente biologico e sta per cambiamento graduale di un organismo vivente, delle singole specie e dell'universo vivente preso nel suo insieme (di interdipendenza: biosfera). Evoluzione particolare è quella della specie umana, che dall'animale va all'antropozoo e da questo all'uomo propriamente detto.
L'evoluzione è una constatazione prima di essere una possibile teoria. Il primo momento dell'approccio scientifico della ricerca sulla vita è quello di constatare come si manifesta la vita stessa ovvero di prendere atto dell'esistente. Un altro è quello di considerare il fenomeno vita in rapporto alle condizioni ambientali, favorevoli o meno. Un altro è quello di dare una definizione alle pulsioni in cui sia possibile immaginare i motori della vita e quindi la ragion d'essere immediata della stessa. Labiologia del sociale "mia creatura" ha configurato in cinque pulsioni o momenti più o meno quello che Bergson chiamò felicemente "slancio vitale".
La scienza della vita è uno studio, che si impianta e si conduce necessariamente all'interno del fenomeno , o se si preferisce, "epifenomeno" vita. Si tratta di una scienza sui generis perché in essa convergono, possiamo dire a pari titolo, il dato sensibile-oggettivo-somatico-certo-esteso e quello psichico-intuitivo-ipotetico-inesteso e i cui confini sono convenzionali, teorici, evanescenti. Le cognizioni, che possiamo trarre da tale esperienza induttivo-deduttiva, sono:
1 - La vita nasce necessariamente dalla vita. Ciò significa che non avremmo vita reale (attuale) se non preesistesse una Vita potenziale. Un esempio intuitivo potrebbe essere quello della mela marcia: che non potrebbe produrre il verme se i suoi componenti non fossero predisposti alla produzione di minuscole sintesi vitali. Pertanto, quando parliamo di vita, ci riferiamo a questi due livelli.
2 - La materia vivente , intendo dire ,in istato di vita attuale, è organica e "scorrevole" perché si trasforma e diviene.Organico è sinonimo di biologico.
3 - Ogni soggetto vivente , dal virus dallu'omo ,è dotato di una "volontà esistenziale" ovvero è lespressione di una pulsione vitale poliedrica o polivalente, che la spinge a cercare le migliori condizioni ambientali per sopravvivere e per evolversi (scorrere)entro i limiti più o meno stabili della specie di appartenenza o entro i confini dilatabili della specie umana.
4 - Tale volontà esistenziale ,il cui impulso primo e universale è la fame , è la radice immediata di una vera e propria agonistica lotta per l'esistenza e si risolve in un processo di adattamento e di selezione naturale. Per convincersene basta osservare , e non è poco , il comportamento dei microbi patogeni delle malattie infiammatorie al trattamento antibiotico.
5 - Tale volontà esistenziale è presente pertanto anche in un vegetale che, al pari della fauna, nel tempo sviluppa delle armi di difesa-offesa (come le spine), manifestando un'intelligenza inconscia.
6 - La specie umana percorre un arco evolutivo-esistenziale così ampio (dal bruto al possibile geniale) da consentirci di affermare che il soggetto-uomo (o individuo umano) è quello che diventa.
7 - L'evoluzione delle specie ha il carattere della continuità: se il nuovo derivi da una mutazione genetica o magari con un salto apparente - dall'intervento di un "soggetto da identificare" (caso), non fa differenza: ciò che conta sono i fatti non la loro paternità.
8 - Se si vuole tirare una conclusione, può essere questa (tautologica): la vita nasce dalla vita ed è fine a sé stessa. Questa conclusione dà l'unica risposta possibile alle domande massime rispettivamente circa l'origine e la finalità della vita.
Quando parliamo della vita e dell'evoluzione , che è la vita ,non abbiamo bisogno di ricorrere a chicchessia, meno che mai a Darwin. Ma è evidente che questi, per elaborare la sua teoria passata, non per caso, per evoluzionismo , si è giustamente calato nel contesto dell'esistente e non avrebbe potuto fare diversamente per restare entro i confini della realtà empirica. Egli ha supposto, nel rispetto di questi confini, che i viventi più complicati derivino, comunque, dagli organismi più elementari: chi prova che non possa essere così? Tanto più che è un dato di fatto che i geni che costituiscono i cromosomi della cellula sono identici nella pera, nella lucertola e in noi uomini.
Quanto all'origine prima della vita, si può semplicemente dire che siamo fuori tema. L'evoluzione biologica (laddove biologica è già un pleonasmo dato che vita è sinonimo di evoluzione) può avere interpreti, convergenti o divergenti, ma non antagonisti, perché le sue competenze si esauriscono nella dinamica della vita entro i limiti dell'empirico, del sensibile e, al massimo, dell'intuizione.
E' scontato che alle due domande massime (sopra riportate) l'uomo non può rispondere se non con l'agnostico dubbio: il desiderio superbo di superare questa impossibilità non ci autorizza ad accreditare nessuna creazione - ipotesi o fede - che non sta né in cielo né in terra. La creazione del tutto da parte di un demiurgo sommo è la negazione totale di ogni scienza e di ogni logica. Creare il mondo può avere il solo significato di essere il mondo in ogni sua particella, significa essere il più minuscolo fila d'erba, che cresce e parimenti in ogni cellula vivente, che si comporta in senso funzionale alla sintesi psicosomatica, di cui è parte. Un,entità detta Dio o come dir si voglia ,che con la sola volontà creiu l'niverso e lo governi, è un non senso non foss'altro perché il prima-creazione presupporrebbe un nulla assoluto (cioè l'assenza anche dello spazio (sic!); inoltre Dio sarebbe stato per un tempo infinito (sic!) solo e inutile, il che è altrettanto privo di significato.
L'ipotesi di una materia-madre (ilozoismo) non è meno credibile di un creatore-persona. Del resto, se questi esistesse, non si comprende perché debbano essere gli uomini, sue creature, a cercarlo (cadendo tra le fauci dei suoi sedicenti rappresentanti) e non piuttosto essere lo stesso a rendersi visibile, sensibile e credibile alle sue creature.
Né il cosiddetto fissismo può sostituire l'evoluzionismo, se è vero che la sola parola è antibiologica, dato che in natura tutto si muove, anche ciò che appare immutabile. Supponiamo pure che tutte le specie viventi siano state "create" e che la mutazione genetica sia un flatus vocis: ebbene, ciò che conta è che le stesse scorrano lungo l'infinito panta-rei dell'esistente.
Se Darwin abbia parlato di "caso" come demiurgo biogenetico, non ha fatto altro che dare l'unico soggetto possibile alla mutazione, che non fosse Dio, che, non spiegando sé stesso, non può spiegare alcunché. La scelta del soggetto-caso (che significa, come detto più sopra, soggetto da identificare) non dovrebbe scandalizzare se rapportata all'ipotesi di un ente creatore di tutto ex nihilo.
Al Darwin , e vado alla conclusione ,si contesta che specie nuove possano essere il prodotto della selezione naturale: ma si tratta di parole contro parole. Manca la prova dei fatti e tuttavia da qualche parte si menano botte da orbi al povero Darwin. Né io che, peraltro mi occupo solo di sociale e di esistente, credo sia il caso di entrare nel profondo merito. L'evoluzionismo, infatti, rimane valido comunque.
Sinceramente non sono riuscito a comprendere la posizione e l'intenzione di quanti (spesso cattolici con o senza maschera ipocrita) si son dati a lapidare la teoria di Darwin, reo di lavorare su un esistente di cui non è in grado come nessuno di noi, del resto di spiegare la prima origine sempreché una prima origine ci sia stata. Non si può accusare il grande naturalista di non sapere dare all'intelligenza inconscia della selezione naturale unn entità diversa dal caso che ha il valore di una possibile "esperienza aperta".
La poliedrica scienza della medicina ci offre l'esempio parametrico di come si possa creare una disciplina, utile all'uomo, restando nell'àmbito dell'esistente, cioè senza preoccuparsi di unorigine prima e di un finalismo ultimo (teleologia), categorie per lo meno superflue - quando non fuorvianti - per le sorti di un'umanità, che vive nell'esistente e di esistente si nutre. Lo stesso si può dire della sociologia, dell'economia, della fisica, dell'astronomia e di tante altre scienze e discipline.
Con quest'intervento, ridotto all'osso per motivi di spazio, intendo lanciare un appello perché si cessi di aggredire un grande studioso e la sua opera come si trattasse di un malfattore o di trattarlo come si trattasse di un idiota perché, pur non essendo ateo, non se la sente onestamente di risolvere con un dantesco "vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole, e più non dimandare" ciò che ci si deve aspettare solo dalla ricerca scientifica o può restare solo un "vuoto di conoscenza".