Domenico Tempio profeta?
Non si hanno molte notizie biografiche su Domenico Tempio, (Catania, 22 agosto 1750 – Catania, 4 febbraio 1821) noto anche come Micio Tempio. Figlio di un mercante di legna, Tempio fu avviato alla carriera ecclesiastica prima e alla giurisprudenza poi: fallì in entrambi i casi e decise così di dedicarsi agli studi umanistici. Studioso sia degli autori classici che dei suoi contemporanei, Tempio iniziò presto a scrivere in versi e acquistò fama di buon poeta. Fu accolto nell'Accademia dei Palladii e nel salotto letterario del mecenate Ignazio Paternò principe di Biscari
.
Sposò Francesca Longo, che morì di parto. La figlia fu così accudita da una balia, la gnura Caterina, che diventò la sua compagna fedele e gli diede un altro figlio. Fu nominato notaio del casale di Valcorrente (nei pressi dell'odierna Belpasso), ottenne una pensione sul Monte di pietà e sulla Mensa vescovile e un sussidio dal Comune di Catania fino alla sua morte.
Tempio scrisse soprattutto opere poetiche satiriche e licenziose, quasi tutte in siciliano.
Una di queste è "Il padre Siccia" che tradotta letteralmente dal catanese in italiano è "padre" o "don" Seppia. Narra le avventure amorose di tal prelato con un ragazzotto, forse minorenne. Vi ricorda qualcuno?
Ecco l'ode:
Padre Siccia
Sentimi…
Pipuzzo
A questo prezzo
ascoltarvi non posso.
Padre Siccia
Io ti scongiuro
per quel ch’ài di più caro, anima mia,
compiàcimi.
Pipuzzo
Di che?
Padre Siccia
Che tu m’ascolti,
che mi lasci parlar: sì, questo almeno
concedimi, e dipoi
dimmi, libero sei, quel che mi voi.
Pipuzzo
Lo permetto, ma prima
àprasi quella porta.
Padre Siccia
E l'esser chiusa
qual'ombra ti darà?
Pipuzzo
Camera è questa
di monaco: noi soli,
voi frate, io giovinetto,
e non volete che mi dia sospetto?
Padre Siccia
Quanto sei scrupoloso! Io non approvo
cotanta austerità.
Pipuzzo
Sensi son questi, che voi saggio Maestro,
m'insegnasti finor.
Padre Siccia
Si, lo confesso,
ma usarli ancor con me, quest'è un eccesso.
Orsù, siedi per poco,
ed attento mi ascolta.
Ah! Perché mai
t'arrossisci nel viso
e stupito mi guardi? Hai tu si puoche
prove di me, che dir ti possa mai
cose di tuo spiacer? Sentimi, e quieta
il commosso tuo spirto, e lieto attendi
a quanto io ti dirò… Dimmi (ti è noto,
negar nol puoi) se ti ricordi… Ah parmi
ieri, e pur son tre lustri!
quando su queste braccia
mi crescesti bambin?
Pipuzzo
Tutto rammento.
E mi sembra pur or: sugl’occhi ho ancora
quanti teneri baci
m’imprimeste sul viso
con quei tumidi labbri, ed ogni bacio
rammento ancor, ch’era sì lungo e greve
ch’io mi sentiva il fiato
dai polmoni tirar: rammento ancora
le carezze, e la mano
che in braccio mi tenea, sempre del mio culo
le natiche a palpar…
Padre Siccia
Ah per la gioia
mi sento morir! Godo che tutto
rammenti a parte a parte.
Pipuzzo
E ben, per questo?
Padre Siccia
Sentimi, figlio, e lascia dirmi il resto.
Già ti rammenti adunque
quai principii ha il mio amor; sin dalle fasce
conobbi ed ammirai
queste belle sembianze. E forse errai?
(lo accarezza)
Pipuzzo
Ma, padre mio, che giova,
ridirlo, se lo so?
Padre Siccia
Scrupoli? Addio, (s'alza)
non parlo più. Così finir la lite
dovea, io lo previdi.
Pipuzzo
E via, seguite.{mospagebreak}
Padre Siccia
Crescesti, e così fino (siede)
così amabile e grato,
ch’io, se lo vuoi saper, sera e mattino
aveva tentazion per quel tondino;
e ottener lo potea; tanta in quel tempo
sopra il tuo cor d’autorità tenea.
Ma la tua nol permise
tenera età, ma che poteva allora
se fraschettino insano
di latte ti fetea la bocca e l’ano?
Or mentre in questo stato
tempo aspetto miglior, ecco a lasciarti
costretto io parto. Ah chi ridirti allora
potrebbe il mio dolor? In queste arrivo
etnee contrade, e qui il soggiorno ho fisso.
Qui chi può dirti quanto
ho sofferto sinor? La rete stendo
su i migliori, e li prendo. Io della preda
contento esulto; non sapea meschino
il nuovo stil di questi
ingrati bardassoni. Al primo aspetto
affabili ed amici
li trovo, me gli accosto, e poi, secondo
il mio costume usato,
m’insinuo a puoco a puoco:
qual son mi svelo, non trovai durezze
anzi proclività: navigo in porto,
dicea tra me. Così la mente io pasco
di future speranze. Ardo frattanto
di libidine ognor; un detto, un cenno
or dubbio ed or palese
dimostro; or colla mano
palpo, accarezzo, insisto: anzi di loro
me ne stuzzica ognun, m’istiga. Allora
replico i colpi, e m’abbandono. Indegni!
Potresti mai supporti
nel vederli sì affabili ed umani,
poi nel miglior scapparmi dalle mani?
Senza profitto adunque
buggiaron mi divulgo, e da per tutto
va la garrula fama
ripetendo il mio nome: e nasce a ognuno
di vedermi il prurito,
e son da tutti dimostrato a dito.
Miser, che far potea? Fu mia ventura
l'esser monaco allor, che di lor baie
alzando al teschio toso
la duplice cuculla
chiudea l’orecchie e non sentiva nulla.
Quindi, escluso da lor, volgo la mente
all’infima plebaglia. Il mio costume,
o la necessità fosse, o il desio,
con poch’esca vi arriva,
e tirai ognor dei buoni pesci a riva.
Un frutto, un pomo, un fico, o noce dura
io v’impiegava, ma con molta usura.
Fra cotanta abbondanza
lieto io vivea quasi in mio centro, e il cazzo
altro d’allor non feo
che pascersi ogni dì, di cul plebeo.{mospagebreak}
Pipuzzo
Voi m’avete confusa
la mente, o Padre Siccia,
il pelo a tanto orror già mi s’arriccia.
Padre Siccia
Come? T’arriccia il pel? Forse che udisti
draghi, leoni colle fauci orrende
venirti a divorar? Oh se sapessi
ciò che al mondo si fa, ti sembrerebbe
questo ch’or ti spaventa
o niente affatto, o pure
leggerissimo mal. A chi si ruba?
Chi mai s’uccide? A cui
la fama si detrae? Eh via confessa,
persuàditi, o figlio,
regola da più grande il tuo consiglio.
Pipuzzo
Terminate il discorso.
Padre Siccia
Ecco che visto
o notato vi son. Si sa per tutto
la mia tresca lasciva, e quanto io futto,
questo fu un nuovo inciampo
per me: che nol sapesse
il mio Provincial temo e pavento.
Né invan; poiché l’udìo
da penna monacal: volea ridurmi.
in paese lontano. Io, frapponendo
amici e protettor, lo sedo a patto
ch’io più non praticassi
l’usate porcherie (così chiamando
l’innocente piacer). D’allora in poi
mi son vissuto oscuro,
spargendo sempre la midolla al muro.
Ma eccoti gli effetti
del provvido destin, ch’ebbe pietate
di me: venisti tu. Ah così bello!
Fuor d’ogni mia speranza
sorpreso ti mirai, che, allor Pipuzzo
giunse al mio naso del tuo culo il puzzo.
Queste fur le cagioni
per cui sempre geloso
t’ho guardato finor; come preziosa
gemma ti custodii, ch’altri non voglia
rapirmela di man. D’insidie occulte
t’ho scampato e difeso. Io t’insegnai
come evitar dovresti
dei compagni malvagi
le pratiche funeste,
e conservarti in queste
illibato il tuo cuor, come guardarti
dai lupi frappatori,
i quali tutto il giorno
biechi e maligni ti si fanno intorno.
Vedesti il mio gran zel: fuggi, ti ho detto,
fuggi ciascun di lor, Pipuzzo amato,
per farti cibo del mio sol palato.{mospagebreak}
Pipuzzo
A chi? Siete in error.
Padre Siccia
Sarebbe questo
per me forse un delitto
di lesa maestà?
Pipuzzo
Non lo farei, a costo di morir.
Padre Siccia
Codesta ammiro
tua gran severità: ma tu non sai
che maggiormente innamorar mi fai?
Pipuzzo
Ed io…
Padre Siccia
Che mal vi fosse?
Pipuzzo
E ad usar m’indurreste
cotanta oscenità, né arrossireste?
Padre Siccia
E che perciò?
Pipuzzo
Io nel pensarvi solo
gelo d’orror
Padre Siccia
L’apprensione, o figlio,
ingrandisce gli oggetti, e dove mai
non fur, nascer li fa. Uno sfogo onesto
fra dei teneri amici
chi mai lo proibì? Siam orsi o lupi
o selvatiche belve?
E pur entro le selve ancor s’annida
genio, amore e piacer, e tu non vuoi,
e ti fa orror perché si trova in noi?{mospagebreak}
Pipuzzo
Se questo è ver, perché l’andare al tondo
vietano le leggi, e lo detesta il mondo?
Padre Siccia
Sempliciotto che sei, né fino ad ora
ti sei avveduto ancor che in apparenza
si vuol così ma che spiando addentro
frate non troverai, né sacerdote
che al cul non scioglierà supplici note.
Pipuzzo
E si pecca sì franco? È un simil fallo
empio, atroce e nefando…
Padre Siccia
Oh che follia!
Taci, perché non sai la Teologia.
Questa sì bella usanza
da Sodoma abbruciata
fu sodomia chiamata:
ma perché sia peccato
io non capisco ancor.
Sì: l’adulterio è tale
che sia dal ciel punito,
la fede coniugale
viene a tradirsi allor.
Sta il gran peccato espresso
nell’accoppiarsi insieme
diversità di sesso [28];
ma se si sparge il seme
tra l’uomo e l’uomo istesso,
che ciò non <sia> permesso
portami un argomento,
una ragione, ed io
questo cular desio
discaccerò dal cor.{mospagebreak}
Pipuzzo
< (Fra sé) > (Quali scosse son queste
per la coscienza mia! Io a poco a poco
comincio a vacillar). E ben si voglia
lecito un tale eccesso,
ma una legge poi
ei non si fa per obbligar pur noi?
Padre Siccia
Ecco la legge: io già ti ho colto in punto
che non puoi replicar. Dell’amicizia
legge più santa e giusta
forse si dà? Si può trovar nel mondo
vincolo più tenace
della vera amistà? Questa ti astringe
questa lo vuol, che le dirai?
Pipuzzo
Le dico
che non è buggiarone un vero amico.
Padre Siccia
E ancora insisti, e ancora
vuoi farmi spasimar? D’onde in te nasce
cotanta crudeltà? Libico serpe
o pur nimeo leone
tua madre ingravidò? O tigre ircana?
Non è gran fatto al fine
se compiaci un amico
che ti serve fedel; che i giorni suoi
sagrifica con te; che per te solo
patria, amici, parenti
non cura, non distingue e non rispetta.
Ho tutti abbandonato
per unirmi con te; l’odio di tutti
per te son divenuto,
ed or… barbaro fato!
Che più mi resta? Oimè! Son disperato.
(s’alza){mospagebreak}
Pipuzzo
Sedete, così presto
Vi scaldate?
Padre Siccia
E forse
non mi scaldo a ragion? Per tutto io servo,
per tutto io vò, si tratta
disfar la vita mia?
Io non la curo. E poi
se un frivolo dimando
ridicolo piacer, tè, Padre Siccia,
che l’ottenesti pur! Io per tutt’altro
giovo, assisto, fatico, e sol per questo
dunque son io mal buono?
Dunque così ricompensato io sono?
Pipuzzo
Ah!
Padre Siccia
Tu sospiri? Forse
di pietà sarà segno
questo tuo sospirar?
Pipuzzo
Né di pietate
è segno, né di amor. Il meritato
del ciel supplicio io miro
alla superbia mia, perciò sospiro.
Qual tortorella audace
spiegai tropp’alto il volo
per evitar lo stuolo
degli empii cacciator.
Né vidi il mio periglio
che per volar tant’alto
mi diedi nell’artiglio
del nibio rapitor.{mospagebreak}
Padre Siccia
Che ingratissimi sensi
son questi, o figlio! Dunque il nibio io sono?
Ah! Se così mi dici
vuoi trafiggermi il cor. Ah! Se tu fossi
dentro il mio petto per vederlo, ingrato,
come avvampa per te, forse quell’alma
sì rigida e severa
si desterìa a pietà. Qual fallo è il mio,
se tu sei bello, e la bellezza tua
m’abbaglia, mi sorprende,
e ad amarti mi tira?
Son forse delinquente,
se il genio, il mio costume,
la debolezza mia
mi trascinano a te? È mia la colpa
se tu porti nel cul sì bella polpa?
Aggiungi a questo ancor l’innata al culo
mia gran proclività; dei tempi andati
il critico tenor; le ardenti brame
che mi apporta il digiun; l’averne al fianco
la ria tentazion; tu bello, ed io
tutto genio per te, tutto grato e fino,
tu per me tutto amore,
io buggiaron di cuore.
Colla preda alle mani,
col boccon sulle labbra,
con te… Eh via spietato
vuoi ch’io sia di macigno, un tronco, un marmo
senza carnalità? Saresti, dimmi,
inflessibile ancor? Non ti sei reso?
Taci, e mi guardi ancor? < (Fra sé) > (il pesce è preso).{mospagebreak}
Su su non ti arrestar; brevi momenti
saranno, il tempo, il luogo
cospirano con noi. Siam soli; ah vieni,
vieni, mostrami alfine
l’illibato tuo cul! Che tardi? Eh via
sciogli, sciogliti il laccio, anima mia.
Non ti spaventi, o figlio,
del cazzo il grande artiglio,
ricordati che sei
in man d’un professor.
Pipuzzo
Ecco disciolto il laccio,
il cul senz’altro impaccio,
ma sol pavento… Oh Dio!
che affanno, che rossor!
Padre Siccia
Calati, o mio bel Nume,
e lascia a questo cazzo
di quel tondino implume
le crespe discrepar.
Pipuzzo
Ahi!
Padre Siccia
Se cominci adesso…
Lascia ch’io l’introduco.{mospagebreak}
Pipuzzo
Se non è questo il buco.
Padre Siccia
Ho traveduto è ver.
Pipuzzo
Deh più leggiero il moto.
Padre Siccia
Il mio mestier mi è noto.
Pipuzzo
Mettete, aimè, saliva.
Padre Siccia
Zitto, il parlar mi priva…
mi scema il gran piacer.
Pipuzzo
Ahi che dolore! Io manco.
Padre Siccia
Il cazzo entrò sì franco
e tu ti lagni ancor?
Pipuzzo
Ahi…
Padre Siccia
Non temere.
Pipuzzo
Io moro
Padre Siccia
Lasciami, o mio tesoro,
lasciami cazziar.
Pipuzzo
Ah che fatal momento!
Padre Siccia
Che dolce e bel contento!
Pipuzzo
Che rabbia, o Dei, che noia!
Padre Siccia
Ah che piacer, che gioja!
Pipuzzo
Affanno più tiranno
io non provai finora.
Padre Siccia
Ah di dolcezza ancora
io manco, e di piacer.
Padre Siccia e Pipuzzo
Su venite, o Bardassoni,
se volete co’ coglioni
tutto il cazzo in culo aver.